Vittime e carnefici nei reportage di Paolo Pellegrin
Al MAXXI, i conflitti, le torture, le stragi raccontate dai reportage di uno dei più grandi fotografi dell’agenzia Magnum
Un’Antologia. È questo il titolo che porta la mostra di Paolo Pellegrin al MAXXI, inaugurata il 7 novembre e che chiuderà i battenti il 10 marzo 2019.
In mostra circa 150 scatti, scelti tra i tanti reportage e progetti fotografici realizzati in tanti paesi afflitti da guerre o devastati da disastri ambientali.
La guerra è la faccia più oscura del mondo e Pellegrin la descrive con circa 150 immagini scattate durante i venti anni trascorsi in Iraq. Nella penombra della Galleria 5, si viene accolti dalle gigantografie di tre miliziani dell’Isis, catturati dalle forze di polizia irachene e in attesa di essere processati.
I tre prigionieri guardano in terra, stanchi di un conflitto senza fine, pronti per essere processati e andare incontro alla morte. Con questi scatti il fotografo che ha vinto dieci edizioni del World Press Photo Award ed è membro dell’agenzia Magnum dal 2005 coniuga l’esperienza del testimone in prima linea con l’intensità visiva dell’artista.
Quindi si passa alla battaglia di Mosul, che da sola ha strappato la vita a più di novemila persone.
Non si può però non citare una foto che descrive la brutalità di una guerra già persa in partenza: la foto mostra tre soldati iracheni che arrestano un sospetto parteggiante dell’Isis.
Il sospettato è un semplice ragazzo che verrà torturato dimostrando la violenza espressa da entrambi gli schieramenti: 9.000 sono i civili morti durante la liberazione di Mosul dalle forze dell’Isis e 900 mila gli sfollati, eppure non si riesce a non provare pietà per questo ragazzo, catturato e ucciso dalla giustizia dei “buoni”.
Assassini, terroristi, guerriglieri; a queste definizioni manca quella più importante: sottomessi; sarebbe infatti più facile rompere una catena che un’ideologia, in questo caso quella islamica, insegnata loro fin da giovani.
Recensione a cura di Edoardo Merrone, Flavio Pierucci, Andrea Rotunno e Lorenzo Salviani